L’ALTRA FACCIA DELLA COMETA
Punti di (s)vista
A cura di Alessandro Morbidelli
Racconto collettivo da Punti di (s)vista – Laboratorio di scrittura creativa per adolescenti organizzato dalla Cooss Marche
PROLOGO
Con il passaggio in prossimità della Terra della cometa X-Æ 12, la vita quotidiana di tutti gli esseri umani cambiò radicalmente.
I bambini, dalle menti plasmabili e in continuo divenire, diventarono noiosi e poco sognatori, proprio come erano gli adulti prima del passaggio della cometa. Questi invece diventarono spensierati e ingenui, proprio come erano dapprima i bambini.
ALEX – 12 anni
(Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine)
Mi chiamo Alex. Ho dodici anni.
“Alex! Svegliati!”
Tutte le mattine mi sveglio sentendo la voce stridula di mia madre che mi chiama. Solo dopo un po’ entra la governante con i miei vestiti in mano. Di solito lei mi saluta, ma io non rispondo, prendo solo gli abiti.
Dopo essermi vestito esco dalla mia spaziosa stanza e mi avvio verso la sala da pranzo, scendendo dalle scale a chiocciola rivestite di marmo bianco, molto lucide. Appena entrato nel salone da pranzo mi siedo nel mio solito posto. La tavola è imbandita di prelibatezze dolci e salate. Dopo essermi saziato, vado nel salone, attraverso un altro corridoio e sono finalmente pronto a ricevere le mie solite lezioni mattutine con il mio professore privato.
Solo che stavolta è diverso: passano un po’ di minuti, ma dal portone non vedo entrare nessuno.
All’improvviso qualcuno bussa: “Avanti” dico in modo molto brusco, come faccio abitualmente.
“Alex, oggi il tuo professore non sarà presente, non hai visto il notiziario?”
“Quale notiziario?” rispondo molto scocciato dalla situazione.
“Hanno annunciato che passerà una cometa visibile a occhio nudo.”
“E quindi?”
“E quindi il tuo professore non potrà venire, è una cosa che non capita ogni giorno! Guarda fuori dalla finestra, tutti stanno attendendo la scia luminosa della cometa”. Mi avvio verso la finestra e tra le innumerevoli nuvole che si trovano nel cielo intravedo un piccolissimo punto grigio che lascia una lunga scia di fumo denso che oscura il cielo. Poi, all’improvviso, il nulla.
Apro gli occhi, ancora appiccicosi, e mi trovo disteso sul pavimento freddo e polveroso del salone.
Non mi rendo conto di niente fino a quando non sento l’assordante suono dei clacson e le macchine che si schiantano da una parte all’altra del marciapiede. Corro nella sala da pranzo e vedo coloro che fino a dieci minuti fa erano i miei camerieri giocare con i miei giocattoli, sorridenti e spensierati, come se fossero ritornati alla loro infanzia.
Scioccato e senza parole corro dalla mia governante: “Signorina Murphy, cosa sta succedendo?” chiedo frustrato.
“Ba ba ba ba”
“Ma cosa sta dicendo?”
“Ba ba…”
Non capisco cosa sta succedendo, sono ancora più confuso. Perché non parla adeguatamente?
Voglio capirci qualcosa di più, ma per farlo ho bisogno di trovare mia madre. Mi dirigo verso il corridoio e provo a chiamarla.
Nessuna risposta. Provo una seconda volta. Niente, solo un pianto continuo. Raggiungo il suono proveniente dalla stanza di mia madre. Apro la porta e la vedo seduta per terra con le lacrime agli occhi. Le chiedo cosa abbia.
“Mi sono fatta la bua! Aiutami!”
Sono esterrefatto da questo accaduto, non capisco cosa sia successo a mia madre. Non posso restare fermo senza fare niente, devo prendere una boccata d’aria. Esco di casa preoccupato e sempre più angosciato. Ma appena sono sul marciapiede vedo il caos che invade le strade della città. Ho bisogno di spiegazioni e così mi allontano da questo luogo pieno di trambusto. L’ansia pian piano pervade tutto il mio corpo e così velocizzo gradualmente il passo fino a correre ma, mentre svolto l’angolo, mi imbatto in uno sconosciuto. È inevitabile lo scontro.
Alzo lo sguardo e vedo un uomo abbastanza giovane che mi fissa. Mi aiuta a rialzarmi e corre verso la strada. Vedo arrivare una macchina da lontano, così cerco immediatamente di fermarlo: “Fermati!”, grido all’improvviso. L’uomo si gira di scatto e con occhi spaventati mi viene incontro. Provo a capire perché si sia fiondato verso quella direzione. Capisco subito, vedo un parco. “È lì che volevi andare?” gli chiedo indicando il luogo. Lui ancora impaurito fa un cenno con la testa ed io, provando un senso di responsabilità, lo accompagno tenendolo per mano. Arrivati al parco l’uomo si mette a correre verso l’altalena. Io la prendo con più calma e cammino lentamente, pensando tra me e me. Mi siedo anche io sull’altalena e vedo quanto sia spensierato l’individuo accanto a me.
Mentre lui si dondola felicemente io, seduto sull’altra altalena, penso a mia madre. L’ho lasciata sola, che cosa starà facendo in questo momento? Starà bene? È la prima volta che sento questo senso soffocante, che mi stringe il cuore. Guardo ancora una volta lo sconosciuto ed esclamo: “Qualcosa è cambiato”.
OLIVER – 36 anni
(Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine)
“Blue-jean baby”.
Sono le 6:00 e queste sono le parole che ogni mattina mi fanno alzare dal letto. Faccio colazione: latte e biscotti integrali. È lo stesso pasto che mia nonna mi portava a letto quando ero malato. Mentre mi accingo al bagno sento bussare alla porta. Mi viene in mente che è l’inizio del mese e mi deve ancora arrivare il nuovo numero di “American Science”. Apro e di fronte mi ritrovo proprio chi stavo aspettando: “Lei è Oliver Coffy?” domanda il postino. Non rispondo ma annuisco. Mi porge la rivista e abbasso lo sguardo per vedere la copertina. “Nuove frontiere nella tecnologia della coltura del mais” è il titolo di questo numero. In basso a sinistra leggo “Nuove notizie riguardo la cometa X-Æ 12”. Sento il rumore di passi. Rialzo lo sguardo: il postino se n’è già andato senza salutarmi, come al solito. La mia attenzione torna alla copertina.
Leggo un piccolo riquadro, di cui pochi si accorgerebbero; il mio cuore inizia ad accelerare, sento i battiti nelle tempie, dieci anni della mia vita, dieci anni della mia vita sprecati, dieci anni della mia vita resi insignificanti da quattro neolaureati. Tutte le mie ricerche, tutti quei giorni passati sui libri non sono serviti a nulla. Sono riusciti a confutare la mia tesi, e l’hanno fatto pubblicamente con un articolo che mi mette in ridicolo. Mi serve una boccata d’aria, vi prego, datemi aria; salgo nell’ascensore senza chiudere la porta di casa e osservo il mio sguardo allo specchio, gli occhi lucidi, un nodo in gola. Riesco solo a pensare a quanto odio me stesso, voglio sparire e se lo facessi nessuno se ne accorgerebbe. Il giardino è al piano terra ma non so perché clicco il 7, appena si aprono le porte entra la luce, passo dopo passo mi avvicino al muretto, vi salgo sopra, ci sono così tanti palazzi e così tante persone sotto di me. Vorrei cadere nel vuoto, sto per farlo, una forza mi spinge all’indietro, vedo solo buio attorno e mi addormento.
Un suono forte, forse una porta che sbatte, e la luce del sole mi svegliano, c’è un piccione che mi fissa a pochi metri da me. Ho un forte mal di testa, ma questo non mi impedisce di alzarmi di scatto e sentire una gran voglia di acchiappare il piccione che vola via non appena mi alzo. Un po’ deluso mi guardo attorno: da qui posso vedere tutta la città, non me ne ero mai reso conto. C’è un parco giochi poco distante dal supermercato. Mi viene da sorridere solo a vederlo. Scendo le scale così di fretta che quasi cado.
Arrivo in strada, corro per il marciapiede e, quando attraverso, non guardo nemmeno se stanno passando le auto. Arrivo davanti al supermercato, faccio per svoltare l’angolo senza accorgermi di chi ho davanti, l’urto è inevitabile. È un bambino. Cade per terra dopo lo scontro.
Lo aiuto a rialzarsi e riprendo a correre fino a quando non sento urlare: “Fermati!”. Ritorno da lui e mi dice: “È lì che volevi andare?”, indicando il parco. Annuisco. Mi prende per mano e mi aiuta ad attraversare e gli chiedo se vuole venire a giocare con me. Il bambino sembra confuso e non capisco perché, ma accetta. Arrivati al parco corro verso l’altalena, ma voltandomi noto che il bambino è rimasto indietro. Come fa ad essere così tranquillo? – penso tra me e me – Io non vedo proprio l’ora di giocare. Iniziamo a dondolarci e gli urlo: “Chi arriva più in alto vince!”. Lui fa ancora quell’espressione confusa e io di nuovo non capisco, forse non è così simpatico come pensavo.
Dondolando mi giro verso il mio nuovo amico. Nel medesimo istante diciamo entrambi: “Qualcosa è cambiato.”
WILHELM – 21 anni
(Pietro)
Ci fu un tempo in cui l’essere umano era ciò che doveva essere, quando il tempo non era nemico della visione che l’uomo aveva dell’Universo.
Mi chiamo Wilhelm, sono un fisico e sto per suicidarmi. Questa decisione così drastica è la conseguenza di tanti fattori. Ma andiamo con ordine.
Cominciò tutto quel funesto giorno. Ero in gita scolastica nella capitale. Ricordo ancora il cielo azzurro. D’un tratto una luce spezzò la quiete e da lì il mondo andò a rotoli. Oggi chiamiamo quel giorno la Grande Luce. Circa tre mesi dopo nacque il WCO (World Coup Organization). Era un gruppo militante che intendeva prendere il potere in tutti i paesi del mondo governati dagli adulti. Il fondatore, l’appena undicenne Martin Karlsberg, aveva incitato tutti i popoli del mondo a ribellarsi per favorire l’ascesa di politici bambini più coscienti. Questa voglia di ribellione e di riscatto sociale era data dal fatto che dopo la Grande Luce, e quindi dopo che i bambini avevano iniziato a pensare da adulti e gli adulti da bambini, i governi del mondo, rimasti quelli di prima, avevano perso la loro coscienza da adulti e avevano iniziato a provocare guerre atroci in tutto il mondo.
Anche dopo che il WCO diresse un golpe globale (e riuscì nel suo intento) le atrocità non finirono: i bambini che pensavano come adulti, dopo essere diventati politici, continuarono i conflitti tra gli stati, provocando un mondo peggiore di quello che si aveva in precedenza.
La mia opinione riguardo questo è che un bambino, anche se pensa come un adulto, rimane in possesso pur sempre di quella parte dell’intelletto dell’uomo che non è il pensiero e che caratterizza la sua mente. Quanto a me, ho potuto studiare Fisica e portare avanti il progetto di Oliver Coffy, un fisico incompreso che morì in un attentato.
La sua scoperta sembrava essere stata confutata definitivamente, ma si rivelò, in realtà, essere esatta, grazie ai miei miglioramenti; mi portò a ricevere un Premio Nobel per la Fisica. Fui anche l’ultima persona a vincerne uno. Ma allora, cosa mi spinge a morire?
È la paura di perdere tutta la mia curiosità. Quando pian piano il tempo passa, io perdo sempre di più le mie capacità di vedere il Cosmo in modo brillante. Quando, tra qualche tempo, diventerò un adulto, perderò tutto quello che mi ha permesso di poter essere ricordato come uno dei più grandi geni della storia e per me pensare di vivere senza quella scintilla che mi ha permesso tutto ciò è come un salto nel vuoto.
Il mondo non tornerà mai come prima.
Ho perso tutto e tutti.
Per cosa vale ancora la pena vivere?
AMI – 13 anni
(Alma)
“Ami, vieni, dobbiamo andare a scuola…”
“Sì, Jun. Sto incartando il panino per il pranzo. Ecco il tuo, è al tacchino e insalata, ti ho messo una mela nel porta pranzo”.
“Grazie, la mamma ha preso la macchina?”
“Sì, le ho preparato un panino con il burro d’arachidi e la marmellata, lo sai che odia le verdure”.
Io e mia sorella ci avviamo verso la scuola sapendo di dover subire quelle interminabili ore di chiacchierate futili con la nostra insegnante. L’unica cosa che mi rassicura è sapere di contare su Haruto, siamo amici da prima del…
“Ciao Ami, come va?”
“Io tutto bene, come sta nonna Kiyomi?”
“Sempre meglio, ieri mi ha chiesto di giocare con la Play”.
DRIN!!!
Suona la campanella, chiacchiero del più e del meno con Haruto, entro in classe: le ore durano mesi, sono interminabili, ma finalmente usciamo. Io e Haruto aspettiamo che Jun esca, quelli della terza escono più tardi. Tutti e tre andiamo a mangiare al parco, ci piace vedere gli adulti che fanno lo scivolo. Di pomeriggio andiamo in biblioteca, non ci hanno assegnato i compiti come al solito; così prendo un libro, la settimana scorsa è toccato a “Orgoglio e pregiudizio”, un po’ prolisso, ma interessante.
Questa settimana più contemporanei e patriottici: “Dance dance dance”, di Murakami. Jun ha i compiti, la sua insegnante è più giovane. Amiamo stare in biblioteca. Dopo aver passato circa due ore rifugiandoci nei libri, decidiamo di fare una passeggiata verso il tempio. L’odore di ciliegi è inebriante, riempie l’aria come il vapore di una tazza di tè verde. Lungo la strada per il tempio prendiamo un bouquet di crisantemi. Haruto mi prende un giglio mentre sono impegnata nella scelta dei fiori più adatti. Sapeva che l’avrei fermato se l’avessi visto. Lasciamo il bouquet come offerta. Jun stasera va a casa di Rina. Haruto mi accompagna a casa. Stasera però prendiamo una strada diversa, quella che passa davanti al cinema, i cartelloni sono zeppi di cartoni animati. La settimana scorsa siamo andati a vedere “Il mio amico Totoro” con la mamma, le è piaciuto tantissimo.
“Ehi, Ami, ti faccio vedere un posto, ti piacerà!”
“Va bene mi fido”.
Mentre il sole tramonta ci incamminiamo in un piccolo sentiero circondato da canne di bambù; la luce calda, che preannuncia l’estate, le trapassa e mi sfiora la pelle come un caldo abbraccio. Il sentiero è sempre più ripido ma finalmente arriviamo in un piccolo spiazzo baciato dal sole. Mi avvicino alla sporgenza: da lì si vede tutto e magicamente tutte le preoccupazioni svaniscono – cosa preparare per cena, se avevo dato o meno i croccantini al gatto, se la mamma aveva ricevuto lo stipendio e lo aveva già speso tutto per comprare la PlayStation – tutto svanisce. Mi sento così piccola. Mi giro per ringraziarlo di avermi portato nel posto più bello di sempre e Haruto mi abbraccia, mi porta verso di sé e mi bacia. Le sue labbra morbide sfiorano le mie e per un attimo, un attimo soltanto amo la mia vita e mi rendo conto di quanto sono fortunata.
ERIC – 8 anni
(Fortuna)
I miei pensieri vagano nella mia mente, cercando corrispondenza nella realtà. Scappano come pecorelle impazzite e io li rincorro come un cane pastore che protegge il gregge. In questo caos la mia mente cerca risposte che non riesce a trovare. Tutto si ferma e pervade il silenzio e fra i miei ricordi emerge un suono delicato, una canzone:
“What has happened to it all?
Crazy, some’d say
Where is the life that I recognize?
(Gone away)”
Mi sovviene la prima volta che ho ascoltato questa melodia. Avevo cinque anni e passeggiavo per la strada. Era il periodo quando ancora non ero rinchiuso in questo inferno di ospedale.
Quando avevo la mia libertà mi piaceva passeggiare. Ciò rendeva le mie giornate leggere e, anche se i miei pensieri venivano a disturbare la mia mente, questi venivano subito sovrastati dal cinguettio degli uccelli e dal motore delle auto. Ma ormai non è più possibile. Passo le mie giornate a letto, incatenato dalla mia malattia e dalla malinconia della vita. Mi sembra tutto pesante, ma ciò non è causato dal mio stato di salute ma dall’inquietudine che trapassa il mio animo dal giorno in cui sono nato.
D’altro canto, la questione esistenziale negli adulti non ha fondamento. Nei loro occhi non si vede l’ombra di nessuna preoccupazione: soltanto allegria e spensieratezza. Li vedo ridere e scherzare come se non ci fosse nessun problema al mondo, come se la vita fosse il pregio più grande dell’esistenza dell’uomo.
Non capisco perché io non riesca a percepire questa felicità. Ci ho provato a essere ottimista come gli altri, eppure, anche se la loro felicità è genuina, la mia risulterebbe fasulla.
Gli unici adulti che ho visto piangere vere lacrime di dolore sono i miei genitori, quando hanno scoperto la mia condizione. I loro occhi sono diventati trasparenti e il loro animo si è scurito. Non li ho mai visti così.
Dal loro volto ho potuto percepire la paura e, anche se ero terrorizzato, ho cercato di confortarli meglio che potevo. Sono venuti a trovarmi proprio ieri, ho finto di stare bene solo per non farli stare in pensiero.
Mi sono nuovamente perso nei miei pensieri.
La canzone che era riaffiorata prima dai miei ricordi mi ricorda la mia vita:”What has happened to it all?” Non so cosa sia accaduto alla mia vita, ma non la riconosco più. Ormai mi rimangono due anni di vita e non riesco a pensare al futuro. Il poco tempo che mi rimane vorrei poterlo passare felicemente, ma non riesco a dormire e sorridere se non per finta. Se solo non fosse passata quella cometa adesso sarei fuori e non avrei questi pensieri.
MICHELLE – 10 anni
(Sofia)
Suona la sveglia. Apro gli occhi e mi alzo; sono un po’ stanca, ma dopotutto non vedo l’ora di andare al lavoro: stiamo progettando un teatro da cui si possono guardare le stelle, in pratica consiste in un teatro con un grande foro sul tetto e con dei grandi cuscini al posto delle sedie, così chi viene a teatro può sdraiarsi e guardare il cielo.
Latte, cacao e cereali, è proprio quel che mi serve per svegliarmi, mangio con calma e vado al lavoro. La giornata passa tranquilla, James e Mary, i miei colleghi-amici preferiti, mi parlano di un cartone molto famoso, sono molto selettiva con quel che mi piace vedere in TV, ma loro hanno dei buoni gusti.
Il nostro progetto è quasi finito e finalmente è ora di pranzo e ho portato le piadine che ieri ho imparato a fare. Erano davvero buone, ma non credo le porterò di nuovo perché tutti me ne hanno chiesto un pezzo e dopo avevo ancora fame.
La giornata è già finita, finalmente posso tornare a casa e colorare un po’. Prima di andare a dormire guardo il cartone che mi hanno consigliato i colleghi-amici, devo dire che non avevano tutti i torti, c’erano davvero dei bei colori e tutti potevano volare… fortunati loro! Sono stanca, ma non ho voglia di dormire.
Dai, resto sveglia finché non ho sonno.
LYDIA – 27 anni
(Gloria)
Sono le 11, mi sono svegliata già da dieci minuti e so che devo alzarmi e iniziare a prepararmi per andare al lavoro, ma ancora devo convincermi e prendere voglia.
Infine mi alzo, mangio Kellog’s a colazione aggiungendo Nesquik extra come piace a me. Mi faccio la doccia, mi vesto e trucco un pochino mettendo il mio nuovo rossetto fucsia sberluccicoso. Uscita di casa prendo la bici e mentre pedalo mi diverto a impressionare i passanti togliendo a volte le mani dal manubrio.
Arrivo al lavoro e appena sento abbaiare salto di gioia: da poco ho cambiato professione abbandonandomi alle spalle un ufficio noioso pieno di gente antipatica, lavorando in un canile pieno di cagnolini adorabili e puzzolenti. La prima cosa che mi piace fare è dare il buongiorno a tutti quanti, uno per uno, e accendere la radio. Invece delle solite canzoni che quotidianamente trasmettono a quest’ora si sente la voce di un tipo annunciare: “Oggi si celebra il decimo anniversario dal passaggio del X-Æ 12, sono passati ormai dieci anni dall’evento…”. Cambio stazione prima ancora che il tizio inizi col pippone sulla cometa e su tutto il caos di dieci anni fa.
Nel frattempo arriva il mio collega preferito: Giovanni. Appena lo vedo scappo e vado nella sezione dei cuccioli a dare loro la colazione, non voglio che veda come il mio viso sia diventato fucsia come il mio nuovo rossetto perché in realtà… io ho una cotta per lui.
La giornata passa tranquillamente finché non è ora di andare a casa. Odio dover ritornare a casa dopo essere stata al canile: non mi piace andare via lasciando tutti quei bei cagnolini da soli con quelle antipatiche galline di Sara, Giulia e Alice, e in più la strada di ritorno è tutta in salita.
Arrivata a casa, non ho più voglia di fare niente perché sono stanchissima. È da un po’ che rimando le pulizie ma pazienza. Mi rifaccio la doccia e metto il pigiama e poi mi fiondo sul divano a guardare “Miraculous”, nonostante sia stanca questa sera voglio rimanere sveglia fino alle undici di sera, ma mentre guardo la serie mangiando un panino al prosciutto inevitabilmente mi addormento.
LILY – 14 anni
(Esma)
Il mio nome è Lily.
C’è stato un tempo, non so di preciso quando, dove l’intera umanità era nel caos.
Nessuno si rendeva conto di cosa stesse succedendo e nessuno era tranquillo. L’intera umanità era in subbuglio. Anche io non capivo cosa stesse succedendo. Mi sentivo strana e non riuscivo a comprendere perché fossi così preoccupata.
Gli uomini e le donne più grandi si comportavano in modo decisamente particolare. Alcuni addirittura balbettavano, mentre i ragazzi cercavano di calmarli, di confortarli, di tranquillizzarli.
E io cercavo di collaborare. Mi ricordo ancora un uomo specifico, abbastanza giovane, che vidi correre nella direzione del parco e un bambino che rimaneva dietro di lui, con un’espressione molto preoccupata in volto come me. Si misero seduti su due altalene. L’uomo sembrava felice, mentre il bambino era confuso. Poi li sentii dire qualcosa, ma non capii cosa. E così, non so perché, ho sentito il bisogno di parlare anche io e dissi un’unica e sola frase: “Qualcosa è cambiato”.
Questo è quello che è successo tempo fa.
Ora non siamo più nel caos. Sì, ci sono state tante difficoltà, ma noi, l’umanità, ce l’abbiamo fatta ancora una volta. E quello che sembrava essere la fine è risultato in realtà un nuovo inizio.
Ci siamo lasciati alle spalle il passato e siamo tutti andati avanti. Credo che ora questo sia un posto migliore, un posto in cui non importa cosa succeda, perché noi riusciremo ad andare avanti, sempre.
EPILOGO
Dopo diversi anni dal passaggio della cometa e dall’improvviso cambiamento, lo scambio delle mentalità tra bambini e adulti, alcuni dei figli dei leader degli stati più importanti decisero di mettersi in contatto per pianificare il modo di gestire la nuova società. Furono allora applicate nuove leggi, ma essi scelsero di non cambiare troppo le istituzioni, dato che era una situazione molto delicata e non volevano far scoppiare nessun tipo di catastrofe. I provvedimenti furono accolti senza troppi problemi, le persone avevano già iniziato a regolamentarsi da sole. L’economia non si fermò, la società rimase in piedi.
Quando fu chiaro che bisognava lasciarsi alle spalle il passato, l’umanità era spaventata dall’idea del nuovo cambiamento. Caos, catastrofi, problemi in tutto il mondo. Si pensava che il buio avesse ormai preso il sopravvento e che non ci fosse più uscita da quel senso soffocante di disperazione. E invece non fu così che finì la storia. Furono trovate soluzioni per riuscire a vivere meglio nel nuovo mondo, ma anche con sé stessi. Si intravide una luce, anche se piccola, che permise di uscire da tutto quel caos. Aspettando, si capì che non sempre la soluzione è a portata di mano. La pazienza, fu questa parola che spinse le persone ad andare avanti e a creare un nuovo futuro. Finalmente fu ritrovata la pace, dopo tanti disastri.
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RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine per essersi messi in gioco, per aver lasciato ognuno una traccia di sé nel racconto, per aver partecipato con continuità e creatività. Un gruppo eterogeneo, composto da volti familiari, perché conosciuti in altri laboratori, e nuovi, che ha saputo concretizzare al meglio il significato di gruppo inteso come qualcosa di più della semplice somma dei singoli.
Grazie anche alla cooperativa sociale COSTESS per la collaborazione e la disponibilità.
Fondamentale è stato Alessandro Morbidelli, per la conduzione del laboratorio, per l’impaginazione e l’ultima limatura.
Prezioso è stato il contributo di Andrea Rossi che ha curato la revisione finale.
Il racconto è stato scritto da nove ragazzi e ragazze tra i tredici e i diciotto anni che hanno partecipato al laboratorio di scrittura creativa collettiva “Punti di (s)vista” da marzo a maggio 2023, incontrandosi una volta a settimana presso il Centro Aggregazione Giovanile di Jesi gestito dalla cooperativa COSTESS.
Il laboratorio, organizzato dagli operatori di prossimità della cooperativa COOSS Marche, è stato realizzato grazie ai fondi dei progetti dei “Piani del Dipartimento Dipendenze Patologiche (Festival dell’educazione e Progetto Innovazione Prossimità e domiciliarità)” e dal “Piano regionale integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio da gioco d’azzardo patologico (GAP)”, gestiti dalla Cooperativa Sociale COOSS Marche, che puntano a creare attività con obiettivi di prevenzione e di educazione non formale per la popolazione adolescente del territorio.